Care lettrici,
cari lettori,
quando suono il corno nella Konkordia Wolfwil, la politica sparisce, lontano. Occasionalmente, quando si studia un passaggio poco coinvolgente già suonato tante volte, può succedere che i miei pensieri vaghino e la politica ripenetri nella testa. In linea di principio, però, la politica non trova breccia nella musica.
Invece, vale il contrario: porto la musica in politica in modo molto consapevole. Non per necessità di armonia, ma perché anche la musica in politica ha bisogno di una voce, di una lobby. A prima vista, questo può sembrare poco necessario. L’economia ha bisogno di lobbisti, questo è chiaro. Anche l’ambiente, così come gli agricoltori, il turismo, i sindacati, i trasporti pubblici. Dopo tutto, questi sono temi di alta politica. Ma la musica?
Si potrebbe erroneamente pensare così, ma ci sono molti più cantieri politici nel campo della musica di quanto si possa pensare. L’educazione musicale, il cui articolo costituzionale è ancora in parte in attesa di attuazione, è uno dei temi politici in sospeso. E durante il coronavirus si è visto quanto sia importante il legame con la politica, così come solo grazie alla pandemia molti politici si sono resi conto che la musica è un settore economico che genera non solo begli eventi, ma anche valore aggiunto e posti di lavoro.
Anche il nuovo mondo digitale comporta, per la musica, delle implicazioni politiche: su Spotify, i musicisti svizzeri vengono discriminati cronicamente. Nelle offerte curate da Spotify difficilmente si trova musica svizzera, perché Spotify non ha né sede né personale nel nostro paese. Di conseguenza, la musica svizzera si vede a malapena. Nessuna visibilità significa nessuno streaming, nessuno streaming significa niente denaro. Senza pressione politica questo non cambierà, indipendentemente dalla vittoria all’Eurosong.
E, last but not least, la musica, che si tratti del settore professionale o della musica amatoriale, dipende anche dalla distribuzione profana del denaro (attraverso il messaggio sulla cultura della Confederazione) da parte di gruppi d’interesse che, nel quadro della concorrenza di cinema, musei, arti visive eccetera, impediscono che il denaro arrivi facilmente agli altri.
La musica è politica. Purtroppo. Per me, tuttavia, questo significa almeno che, in qualità di presidente del «Gruppo parlamentare Musica», posso usare una passione (la politica) a favore dell’altra (la musica). E dare in prima persona un piccolo contributo per continuare a suonare tranquillamente nella Concordia, senza dover pensare alla politica.