In questa frase, lo strumento viene normalmente inteso come oggetto. Ma in realtà potrebbe essere il soggetto dell’azione. Un tentativo di cambiare il punto di vista sull’incontro tra due entità.
E se durante la lettura di questo articolo dessimo un senso diverso dal solito a questa frase? Se, cioè, fosse lo strumento a scegliere il suonatore e non viceversa? Nei quarantacinque anni trascorsi dal momento nel quale, all’età di undici anni, ho cominciato a suonare il corno, a più riprese sono inciampato nell’idea che siano gli strumenti stessi a «fare il primo passo». Lascerei perdere il concetto forse un po’ animista della questione per sviluppare tre punti: l’inclinazione personale verso un determinato strumento, l’oggetto che realmente suoniamo, le esperienze alle quali accediamo e quanto queste tematiche sovrapposte possano contribuire alla statura di ogni individuo.
Da un primo strumento…
Corno semplice, compensato, doppio, triplo, con la campana a destra o a sinistra, in Fa, Sib o Mib? Nuovo o d’occasione? Il mio primo strumento era lucente, argentato, ma la campana andava a destra, era intasato, meccanicamente consumato. Difficile capire se ci fossimo io oppure lui all’origine del suo suono flebile e di ogni – frequente – stecca. Per la sua qualità veniva definito «catenaccio» dall’insegnante, tutt’altro che inesperto, visto che ricopriva il ruolo di primo corno nell’allora Orchestra della Radio della Svizzera italiana e al Teatro alla Scala di Milano.
…a tanti altri
Forse per una sorta di bisogno riparatore della fase disgraziata che ho appena descritto (che finisce qui solo per esigenze di spazio…), mi capita di acquistare vecchi corni dimenticati. In Ticino ho «trovato» uno «C.F. Schmid» degli anni ‘20 del secolo scorso. Costruito a Berlino e a Weimar, è il modello che per primo fu esportato nel Nuovo Continente e che ha suonato nell’orchestra del Metropolitan di New York, a Chicago e in tutta America. Mi sono procurato un corno semplice in Fa della ditta «Bohland & Fuchs» (in Boemia) di rara fattura: campana battuta a mano con doppio bordo, lamiera cucita in un pezzo fino alla «macchina», ergonomia e bilanciamenti non improvvisati. Considerando l’usura irrilevante, immagino sia servito più a fare accompagnamento in bandella che a studiare il primo concerto di Strauss. Chissà se un giorno riapparirà anche quel Kruspe modello Wendler fotografato a Bellinzona nell’orchestra di Luigi Tosi che, nel 1923, ha rappresentato «La Resurrezione di Cristo» di Lorenzo Perosi?
Viaggi nel tempo
È appassionante anche scavare nella storia delle fabbriche, dei materiali impiegati, dei musicisti che hanno collaborato alla messa a punto dei vari modelli. Si riesce a risalire alla perizia di chi ci ha messo le mani, fino alle disponibilità finanziarie dei vari possessori. Chi avrà suonato questo strumento prima di me? Cosa ne avrà tratto? E al passo successivo: quale sarà stato il primo strumento del sedicenne Barry Tuckwell, allievo passivo su vari strumenti prima che il corno lo rendesse un solista leggendario? Quale magico allineamento di talenti ed esperienze corroborano altri talenti? Quale futuro per gli «omologati del 103» di oggi?
Ritorno al presente
Le filarmoniche ticinesi, in generale, non hanno ancora raggiunto la situazione di un organico completo e indipendente. Anzi: per dirlo apertamente, alcune soffrono. Vale anche per la sezione dei corni, che a mio avviso potrebbe essere la chiave di volta nel consolidamento di una certa stabilità. Anche per questo, da ventiquattro anni, durante il periodo pasquale il Gruppo Cornisti della Svizzera Italiana organizza l’Accademia di corno… che per la sua prossima edizione (dal 3 al 6 aprile 2024) intende proprio sviluppare maggiormente gli argomenti introdotti in questo articolo. Conosceremo Eugène-Léon Vivier e visiteremo la Francia e l’Europa della seconda metà dell’Ottocento.
Parte di un tutto
È vero, le nostre società bandistiche si riferiscono a uno standard di strumentazione che decreta clarinetto sì, fisarmonica no (per fare un esempio; nulla contro la fisarmonica). Vero pure che i nostri strumenti non sono fatti per la scuola dell’infanzia. Non credo occorra implementare in banda sezioni di chitarre o pianoforti a otto mani per piacere di più o per essere diversi. Credo al contrario che, per mantenere l’essenza delle nostre filarmoniche, possiamo proporre occasioni qualificanti nelle quali siano i nostri strumenti a potersi scegliere il suonatore, che sia anche già chitarrista, pianista, suonatore di arpa celtica. Ed è riconoscendo altri percorsi formativi che potremo ribadire il valore e la completezza del nostro.
Ampliare gli orizzonti
Tutte le bande, indistintamente, possono aprire più efficacemente le porte alle persone interessate a praticare la musica in un contesto sociale curato, con la semplice contropartita di occupare un pixel della storia e colorare la vita. Solo così potremo rendere queste nostre società, e il tempo che dedichiamo loro un tassello importante di un sistema di cura che alla salute fisica, unisce la salute mentale e l’ambiente in cui viviamo.
Che sia questa, la scelta dello strumento!