L’intelligenza artificiale e noi, i musicanti

Foto d'Eric Kunz

Dall’inizio dell’anno, non passa giorno senza che i media parlino di intelligenza artificiale (IA). ChatGPT, disponibile su tutte le piattaforme, sta rivoluzionando il nostro quotidiano. Può redigere testi precisi rispondendo a semplici domande. Questa applicazione fa parlare molto di sé, non solo nei dipartimenti cantonali della pubblica istruzione, bensì anche in tutti gli ambiti di attività della nostra società.

In musica, la prima opera generata da un computer – in Illinois, negli Stati Uniti – risale al 1955. Secondo varie fonti informatiche, nel VI secolo a.C. Pitagora collegava già un numero a una nota. Nei secoli XVII e XVIII, Johann Sebastian Bach utilizzava metodi matematici e geometrici, e Mozart la ricombinazione di frammenti estratti a sorte con dei dadi. Due anni fa, l’IA ha completato la 10a sinfonia di Beethoven – incompiuta – nutrendosi degli schizzi lasciati dal maestro.

A quando il completamento di una marcia o di un’ouverture di un compositore che non trova l’ispirazione? O il plagio su larga scala di un’opera interamente informatica? Diversi esperimenti di composizione sono in corso presso le grandi etichette. La questione chiave? Ovviamente il potenziale commerciale e finanziario, in particolare i diritti d’autore. Tutto questo senza pagare né musicisti, né compositore.

E che ne sarà di noi, i musicanti? Verremo rimpiazzati? Le premesse di questa trasformazione si sono manifestate con l’arrivo dei sintetizzatori, poi delle drum machine e, infine, delle applicazioni sonore.

L’IA cambierà il nostro modo di vivere, il nostro lavoro, il nostro tempo libero, la nostra vita quotidiana. Ogni giorno forniamo – spesso senza rendercene conto – migliaia di informazioni che vengono memorizzate a beneficio dell’IA.

Non si tratta di mettersi con le spalle al muro, ma di definire fino a che punto siamo disposti ad andare senza frenare il lato intrusivo dell’IA. Sono convinto che dobbiamo accettare questo cambiamento, ma per trarne il massimo beneficio per le nostre società e federazioni. Non dobbiamo invece assolutamente dimenticare le nostre radici, il nostro patrimonio, la nostra identità.

L’IA permea già la vita quotidiana delle nostre società bandistiche. I software di comunicazione e marketing, quelli di gestione dei membri e persino la profilazione del nostro pubblico ne sono la prova.

Dobbiamo saper utilizzare l’IA come possibilità di fidelizzare i nostri ascoltatori, di dare un forte senso di appartenenza ai nostri membri, o di produrci in live streaming, o in uno spazio virtuale, come fanno alcuni musei o siti turistici.

L’obiettivo? Far scoprire il nostro mondo a un nuovo pubblico. Intrigarlo. Con suonatori e percussionisti sempre all’opera, e ben presenti.

Non perdiamo la svolta dell’IA. Ma manteniamo il comando.

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