Un articolo degno di nota apparso nella Zuger Zeitung di metà dicembre 2022 ha confermato che i provvedimenti adottati in Svizzera contro gli strumenti a fiato a causa del coronavirus erano infondati. Uno studio dell’Istituto Max Planck dimostra che suonando tromba, saxofono e compagnia si diffondono meno virus che quando si parla. Andy Kollegger, vicepresidente dell’ABS, illustra il danno permanente d’immagine subito dalle nostre società e federazioni bandistiche. Inoltre, l’autore si chiede se si arriverà alla morte delle società bandistiche. Vi proponiamo un estratto dell’articolo.
«L’amministrazione federale ha sostenuto che gli strumenti a fiato sono dei diffusori di virus, e ha così danneggiato l’immagine della musica bandistica in modo considerevole e permanente. Chi vorrebbe imparare a suonare uno strumento classificato come pericoloso?», ha affermato Andy Kollegger, vicepresidente dell’Associazione bandistica svizzera.
Non ci sono ancora cifre precise e rilevate in tutta la Svizzera, ma il calo è considerevole. Prendiamo l’esempio delle scuole di musica: uno studio dell’università di Lucerna svolto presso circa 400 istituti nel settembre 2021 ha dimostrato che durante il periodo del coronavirus il totale di bambini e giovani che hanno scelto di studiare uno strumento è sceso di ben il 10 percento. Il declino è stato particolarmente drammatico per gli strumenti a fiato, sia legni che ottoni. Anche vendite e riparazioni di questi strumenti sono crollate in modo preoccupante durante la pandemia.
Uno studio ci scagiona tardi
Lo scorso autunno il rinomato Istituto Max Planck ha pubblicato i risultati di uno studio, passato quasi inosservato, che scagiona quasi completamente gli strumenti a fiato. «Sorprendentemente, abbiamo accertato che suonare degli strumenti a fiato presenta meno rischi che parlare o cantare», afferma Mohsen Bagheri, uno degli autori dello studio e responsabile del gruppo di ricerca. Secondo tale studio, la concentrazione di particelle liberate suonando dei fiati dipende dallo strumento: i flauti dolci producono la più bassa, mentre clarinetti, saxofoni, trombe e tromboni la più alta. È vero che nell’ambiente sono liberati più aerosol che respirando, ma questo non porta a un rischio di contagio maggiore.
Lo studio motiva questo pericolo di trasmissione così basso con il fatto che gli strumenti a fiato agiscono come un filtro, che trattiene le particelle più grosse del nostro respiro. Lo strumento più pericoloso dal punto di vista della diffusione virale è invece la voce. Cantando e parlando, le persone infette emettono nell’ambiente circostante delle particelle virali fino a cinquecento volte di più che con la normale espirazione, gli strumenti a fiato da cinque a cinquanta volte di più.
Raccomandazioni per epidemie future
Lo studio indica inoltre delle raccomandazioni importanti per misure di protezione efficaci. Secondo la ricerca, applicare delle mascherine al padiglione degli ottoni riduce in modo attendibile la diffusione di particelle infettive. Eberhard Bodenschatz, direttore dell’Istituto Max Planck, è convinto che lezioni, prove e concerti con strumenti a fiato possano essere volti in sicurezza, mantenendo una ventilazione efficace e se il pubblico indossa delle mascherine FFP2. Il rischio di trasmissione ammonterebbe a un massimo dello 0,2 percento anche dopo un’ora di concerto.
Due annate perdute
Lo studio arriva però troppo tardi: le annate che le società hanno perduto non possono essere recuperate; il danno è fatto. In parte, le bande – quelle lontane dalle roccaforti della Svizzera interna, del Vallese e dei Grigioni – dovevano lottare già prima del coronavirus. Secondo Kollegger, i provvedimenti per combattere il coronavirus hanno acutizzato i problemi. Le società bandistiche che soffrivano già di problemi di effettivi sono state costrette a sciogliersi o a fusionare con altre.
È un fatto: alle bande mancano due annate di nuove leve. Per il momento non si parla ancora di morte delle società. Tuttavia, l’effettiva portata dei provvedimenti sarà visibile solo tra qualche anno. Kollegger teme che, nello spazio di circa quattro anni – ovvero quando i mancati nuovi musicanti sarebbero entrati a far parte degli effettivi – questa interruzione nella formazione si possa ripercuotere drammaticamente sulle società.